Emanuele Falorni - 29/08/2023
Con la presente Taxnews esaminiamo una recente Risposta dell’Agenzia delle Entrate (n. 421 del 25 agosto 2023) in tema di tassazione dei rimborsi spese ai dipendenti, con riferimento alle spese per la ricarica degli autoveicoli elettrici e ibridi. Si dà anche conto della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 25 del 18 agosto 2023, sui profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working).
1. Auto elettriche ai dipendenti: la tassazione dei rimborsi per le ricariche
Con la Risposta in commento l’Agenzia delle Entrate si è occupata del caso di un’azienda che concede ai propri dipendenti autovetture ibride o elettriche ad uso promiscuo e, in questo contesto, rimborsa ai dipendenti anche le spese sostenute per i consumi energetici effettuati con le ricariche.
Ebbene, secondo l’Agenzia delle Entrate, i rimborsi erogati dal datore di lavoro ai propri dipendenti per le spese di energia elettrica finalizzati alla ricarica degli autoveicoli assegnati in uso promiscuo rappresentano reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione ordinaria.
Tali somme non rientrano dunque nelle deroghe al “principio di onnicomprensività” del reddito, di cui all’art. 51 del TUIR, secondo cui tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti in relazione al rapporto di lavoro costituiscono reddito di lavoro dipendente tassabile.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, infatti, che tali somme per il rimborso delle ricariche elettriche non sono proprio “fringe benefit”, che, in taluni casi rientrano nelle deroghe concernenti elementi che non concorrono a formare la base imponibile a valore normale, o vi concorrono solo in parte (come è il caso dell’assegnazione ai dipendenti degli autoveicoli a uso promiscuo, tassata con un criterio forfettario basato su una percorrenza convenzionale valorizzata in base alle tabelle ACI), ma rappresentano un mero rimborso di spese sostenute dal lavoratore.
Tali rimborsi in genere sono sempre tassati, ad eccezione, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, “delle spese rimborsate nell'esclusivo interesse del datore di lavoro, anticipate dal dipendente per snellezza operativa, quali ad esempio l'acquisto di beni strumentali di piccolo valore, come carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, etc. (paragrafo 2.1 della circolare n. 326 del 23 dicembre 1997), e fatte salve specifiche deroghe previste dal medesimo articolo 51, comma 5, del Tuir per il rimborso analitico delle spese per trasferte”.
È stato anche chiarito che i rimborsi delle spese sostenute dai dipendenti per le infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica e contatore a defalco), effettuate presso l'abitazione del dipendente rappresentano un “fringe benefit” da valutare separatamente, a valore normale, per l’assoggettamento a tassazione in capo al dipendente stesso.
2. Profili fiscali dello smart working e criteri della residenza fiscale
Con la Circolare n. 25 del 18 agosto 2023, l'Agenzia delle Entrate ha analizzato in modo sistematico i profili fiscali dello smart working, divenuto oramai in molti settori una forma ordinaria di prestazione dell’attività lavorativa.
L’esigenza di chiarimenti deriva dal fatto che spesso il lavoro da remoto determina, anche in contesti transnazionali, “una separazione tra il luogo di svolgimento dell’attività, il luogo della residenza e il luogo in cui si esplicano gli effetti di tale attività lavorativa”.
È quindi necessario discernere gli effetti fiscali che ne possono derivare, anche con riguardo all’applicazione dei regimi agevolativi per le persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia per svolgervi un’attività lavorativa, disciplinati dall’articolo 16 del D.Lgs n 147/2015 (riguardante i lavoratori impatriati) e dall’articolo 44 del D.L. n. 78/2010 (che concerne il rientro in Italia di docenti e ricercatori residenti all'estero).
In entrambi i regimi agevolati uno dei requisiti per accedere ai benefici è l’acquisizione della residenza fiscale in Italia, ed è con riferimento a tale status che l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il lavoro da remoto non incide sulle regole di determinazione della residenza fiscale italiana, fissate dall’art. 2 del TUIR.
Tale norma, fatta salva l’eventuale applicazione delle norme convenzionali contro le doppie imposizioni, considera fiscalmente residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nell'anagrafe della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio (inteso come il centro dei propri affari e interessi, anche familiari e affettivi) o la residenza (intesa come la dimora abituale) in base al Codice Civile.
Come evidenziato dalla Circolare in commento, infatti, con l’affermarsi di tali nuove modalità di lavoro non “sono state apportate alla normativa interna modifiche che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza ai fini fiscali”.
Anche con riferimento ai due predetti regimi agevolati, l’eventuale svolgimento dell’attività lavorativa da remoto in uno Stato diverso da quello originariamente previsto non deroga ai criteri domestici di residenza sopra indicati, nemmeno in contesti di emergenza sanitaria come quelli vissuti durante la pandemia, nonostante le raccomandazioni dell’OCSE, che invitava gli Stati adottare flessibilità nell’interpretazione delle norme convenzionali, al fine di “sterilizzare” gli effetti fiscali derivanti dalla restrizione alla mobilità.
L’Italia ha accolto i predetti suggerimenti dell’OCSE soltanto limitatamente a specifici accordi amministrativi (temporanei e oggi non più in vigore) siglati con Austria, Francia e Svizzera. L’Agenzia delle Entrate, pertanto, ritiene applicabile il regime degli impatriati (che agevola i redditi prodotti in Italia a seguito del rientro dei “cervelli”), nel caso di un lavoratore che trasferisca la propria residenza nel nostro Paese, anche ove dovesse continuare a lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, mentre non sarebbe applicabile al lavoratore che dopo il trasferimento in Italia dovesse traslocare all’estero pur lavorando in modalità agile alle dipendenze dello stesso datore italiano, ciò in quanto la prestazione lavorativa resa oltre confine resterebbe fuori dal perimetro dell’agevolazione.
Con riferimento al regime agevolato riservato ai docenti e ai ricercatori, invece, l’Agenzia delle Entrate evidenzia come, a differenza di quello previsto per gli impatriati (rispetto al quale non assume rilevanza il datore di lavoro che fruisce delle prestazioni del lavoratore agevolato), “un docente o un ricercatore trasferitosi in Italia che intrattenga un rapporto di lavoro con un Ente o con una Università situata in uno Stato estero, per cui svolge la propria attività di docenza o ricerca in modalità smart working, non potrà beneficiare dell’agevolazione in commento per i relativi redditi, in quanto non sussiste un collegamento tra il trasferimento in Italia e lo svolgimento di una attività di docenza e/o ricerca nel territorio dello Stato”.
È chiaro che il sistema di norme attualmente vigente in materia di determinazione della residenza fiscale non appare più in grado di rispondere ai profondi cambiamenti che negli ultimi anni hanno interessato l’organizzazione del lavoro. Al riguardo, si segnala che la revisione di queste norme, al fine di renderle maggiormente coerenti con il mutato contesto, sia uno degli obiettivi contenuti nella legge Delega di Riforma fiscale recentemente approvata (articolo 3, comma 1, lettera c, della legge n. 111 del 9 agosto 2023).
In particolare, l’obiettivo posto al legislatore delegato è quello di “provvedere alla revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all'imposizione, al fine di renderla coerente con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall'Italia per evitare le doppie imposizioni, nonché coordinarla con la disciplina della stabile organizzazione e dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia anche valutando la possibilità di adeguarla all'esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile”.